Daddy Wally: A Mama Africa abbiamo stasera i Bizantina a presentare
il loro nuovo lavoro Zahir. Vorrei iniziare con una domanda… “difficile”,
perché è sempre un problema doversi etichettare: come definireste il genere
musicale dei Bizantina?
Rocco: Effettivamente, etichettarsi è veramente un problema per un gruppo
che muove i suoi primi passi a partire dalla tradizione e sceglie successivamente
di intraprendere nuove strade, senza per questo abbandonare definitivamente
la propria ispirazione iniziale. Quindi semplicemente direi che ciò
che continuamente ricerchiamo è la contaminazione, sempre unita al divertimento
di sperimentare soluzioni musicali inedite.
Daddy Wally: Infatti ho notato che le influenze nei vostri brani sono molteplici,
anche perché i musicisti stessi provengono da svariate regioni d’Italia, e
immagino con esperienze musicali diverse.
Rocco: Certo, Mauro è di Termoli, io vengo dal Salento, Michaela per metà
è emiliana, per metà molisana. Per quanto riguarda la formazione musicale,
tutti noi abbiamo esperienza con più strumenti: io ad esempio ho iniziato
con la tastiera, e solo in un secondo momento sono passato al mio strumento
attuale, il tamburrello, che suono ormai da vari anni e che mi ha dato molte
soddisfazioni, come quella di essere qui, ad esempio.
Mauro: In realtà vorrei sottolineare come Rocco suoni praticamente qualsiasi
tipo di percussione, in Panormozahir, ad esempio suona due cucchiai
da cucina… Per tornare a delle nostre influenze, credo che già il primo
brano del disco, con il suo arrangiamento in uno stile manouche del
tutto inedito per i Bizantina, sia indicativo di una grande varietà
di ispirazione. Inoltre, il fatto che Panormozahir sia uno dei pochi
brani in italiano del disco evidenzia come l’eterogeneità delle nostre provenienze
influenzi anche le scelte testuali, oltre che quelle musicali: alcuni pezzi
sono in salentino, altri in campano, un brano è in dialetto palermitano. Anche
se i componenti attuali sono in maggioranza toscani, nel corso degli anni
hanno fatto parte della formazione musicisti provenienti da varie regioni
d’Italia, ognuno dei quali ha lasciato una traccia sensibile nello stile del
gruppo.
Papa Leo: Qual è il motivo del vostro nome?
Michaela: Il nome venne proposto dal percussionista Massimo Ierimonti, un’altra
delle persone che, passando nel gruppo, hanno lasciato qualcosa di sé. Avendo
abbracciato tutto il Mediterraneo ed essendo giunta fino al Nord Italia, la
cultura bizantina ha creato interessanti forme di mediazione tra occidente
e oriente. Poiché la nostra musica non ha come riferimento soltanto il sud
Italia, ma tutte le culture musicali dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo,
come la musica balcanica, quella spagnola e quella araba, il nome ci sembra
anche oggi, a distanza di tempo, un’efficace descrizione di quello che siamo
e di quello che suoniamo.
Papa Leo: Mentre il titolo del disco Zahir a cosa è dovuto?
Michaela: E’ il titolo di un racconto di Borges, in cui è descritto con questo
termine un oggetto che è impossibile dimenticare. Per noi rappresenta tutto
quello che un individuo non può lasciarsi completamente alle spalle, ossia
le proprie radici. Nel primo brano del disco, al termine Zahir abbiamo accostato
l’antico nome di Palermo “Panormo”, che vuol dire porto, ossia punto di incontro
e di fusione di tutte le culture: questo è stato un modo per alludere a quanto
ci accade quotidianamente, quando siamo chiamati a confrontarci con altre
culture, restando d’altronde legati alle nostre radici dal filo inscindibile
della memoria.
Daddy Wally: A proposito dei linguaggi che usate, è in dialetto la parte
cantata in Adriatika, che segue una lunga introduzione strumentale.
Di cosa si tratta?
Rocco: Nelle intenzioni iniziali, il brano era pensato come interamente strumentale.
Successivamente abbiamo deciso di aggiungere in fondo una ninna-nanna salentina,
stravolgendola notevolmente: sfruttando l’andamento cantilenante di questa
filastrocca , l’abbiamo adattata a una base ritmica molto intensa, con un
effetto diametralmente opposto rispetto alla nenia originale, che rasenta
quasi l’hip hop.
Mauro: E’ una ninna nanna da scitamento!
Daddy Wally: La storia dei Bizantina mi sembra quindi molto ricca di episodi
e personaggi, potreste narrarcela?
Michaela: I Bizantina hanno iniziato a suonare insieme molto prima di avere
questo nome, come musicisti di strada, al Festival On The Road di Pelago
del ’93. Suonavamo pezzi dei Musicanova, alcuni della Gatta
Cenerentola di De Simone
Daddy Wally: Ah, bellissima!
Michaela: Infatti, era un gran divertimento! A quel tempo c’era anche un’altra
cantante, Anna Granata, e giocavamo molto sull’intreccio di voci e sulle percussioni,
pur restando un gruppo da strada. Ben presto il pubblico ha iniziato a interessarsi
a noi, e a chiamarci a suonare; allo stesso tempo, noi abbiamo cercato di
acquisire anche un atteggiamento più filologico nei confronti della tradizione.
In questa fase la formazione era inizialmente prettamente acustica. Quando
però è entrato Mauro con la batteria, e il contrabbasso è diventato un basso
elettrico, il tutto è andato rapidamente cambiando.
Mauro: Infatti, in quel momento il discorso filologico ha iniziato a venir
meno, e con il mutare dei componenti è andata crescendo l’esigenza naturale
di fondere influenze e stili musicali; esigenza che si è rinnovata ogni volta
che nel gruppo entrava un nuovo elemento. In questo senso, l’ingresso di Rocco,
con il suo forte radicamento nella cultura salentina, è stato fortemente determinante
per le strade che abbiamo successivamente intrapreso.
Michaela: Tornando un po’ indietro, all’indomani di Pelago, quando la formazione
si è stabilizzata con l’ingresso di Mauro alla batteria, ci siamo dedicati
anche a comporre dei brani originali, che abbiamo inciso nel ’97 nel CD E’
Notte, successivamente pubblicato per Re Nudo, e contenente la
canzone omonima, vincitrice al Premio Ciampi nel '98.
Mauro: In seguito abbiamo fatto varie tournèe all’estero, in Portogallo, Spagna,
alle Isole di Capoverde, un’esperienza che ricordiamo con grande gioia.
Papa Leo: Direi una vacanza lavoro fantastica. Com’è il pubblico capoverdiano?
Mauro: Molto entusiasta, vedevamo le seconde file saltare sulle prime file
e sostituirsi ad esse, e poi nuovamente la stessa scena ripetersi. Chi è stato
a Capoverde recentemente ci ha riferito che in quelle isole i Bizantina sono
tutt’oggi ricordati come una delle più importanti formazioni di tutti i tempi!!
Daddy Wally: Sarà stato un piacere avere questi riconoscimenti da una popolazione
come quella capoverdiana, che ha una cultura musicale invidiabile: Antonio
e Ippolito conducono proprio qui su Novaradio tutti i mercoledì sera dalle
19.30 alle 21.00, proprio prima di questa trasmissione, un programma interamente
dedicato alla musica e alla cultura di questo splendido arcipelago che fronteggia
le coste del Senegal. Tornando al vostro CD, anche il dialetto del brano De
Sira è salentino?
Rocco: Esatto. Il testo è quello di una pizzica tradizionale, che proponiamo
in una versione totalmente rivisitata. L’arrangiamento potrebbe collocarsi
a metà strada tra la musica araba e il flamenco, mentre le linee vocali
potrebbero ricordare il richiamo di un muezzin, così come l’orchestrazione
dei fiati evoca vagamente il mariachi.
Daddy Wally: Anche il brano Si Mmo è su un testo tradizionale?
Michaela: No: in questo caso sulla musica che ha scritto il bassista, Michelangelo
Zorzit, ispirata alla tradizione della canzone napoletana, abbiamo adattato
il testo di una nostra amica, Marianna Orlando, che spesso ha fatto da consulente
per quanto riguarda il dialetto partenopeo. E’ il lamento di una donna che
aspetta sulla spiaggia il proprio uomo partito per mare, sapendo che il mare
non glielo restituirà.
Papa Leo: L’argomento è tipicamente capoverdiano!
Michaela: Hai perfettamente ragione, lo spirito del testo è proprio quello
di chi vive ai margini dell’Oceano, un po’ capoverdiano, un po’ portoghese…
anche un po’ da saudade!
Daddy Wally: A proposito del brano Fimmina Tu, potreste parlarci
dei vari ospiti che hanno partecipato alla realizzazione?
Mauro: Il cantante che affianca Michaela è Cesare Mariotti, un mio compaesano
di Termoli, amico d’infanzia con cui ho suonato molti anni; attualmente suona
rock, ma ha prestato volentieri la sua voce per questo brano.
Daddy Wally: Con ottimi risultati, direi.
Michaela: Sono completamente d’accordo. Al violoncello abbiamo invece Suna
Choi, una ragazza Coreana, mentre al pianoforte c’è Emiliano Benassai, che
nel disco suona anche in Si Mmo ed è il nostro attuale fisarmonicista.
Curando la partitura degli archi e l’intero arrangiamento, ci ha permesso
di realizzare in questo brano una miscela molto fantasiosa tra la semplicità
della melodia, e la ricchezza delle sonorità “classiche” .
Daddy Wally: Mentre la traccia fantasma che conclude il disco?
Rocco: E’ mia madre, che ho registrato quando è venuta a trovarmi a Natale
2003, mentre cantava uno stornello salentino. Se ne era completamente dimenticata;
quando le ho portato il CD in Puglia, è andata subito in paese a farlo ascoltare!
Daddy Wally: Anche il brano Sacara contiene ricordi del Salento?
Rocco: Sì, il titolo Sacara (ca se sturtia), significa “il serpente
che si attorciglia”. E’ l’immagine di un sud in cui il sole d’estate si fa
sentire in maniera pesante. L’immagine si collega anche al tarantismo, che
è un filone non soltanto legato al ragno, alla tarantola, appunto, ma anche
al serpente. Visto che il programma si chiama Mama Africa, mi
piacerebbe sottolineare anche come l’immagine evochi comunque scenari che
travalicano i confini del Salento, guardando alla sponda opposta del mediterraneo,
come pure le sonorità e l’arrangiamento fortemente percussivo del brano.
- Quali sono (se esistono) le vostre fonti testuali e musicali?
Sia dal punto di vista musicale che da quello testuale, le nostre fonti
di ispirazione sono piuttosto eterogenee, come dimostra il fatto di
prendere spunto dalle molteplici tradizioni musicali dei popoli che
si affacciano sul Mediterraneo. Anche per quanto riguarda i testi, usiamo
svariati dialetti del Sud Italia, talvolta l'italiano, è probabile
che useremo anche lingue straniere. Inoltre, a questa gamma di variazioni
diatopiche si aggiunge una notevole eterogeneità in senso diacronico,
cosicché può accadere in un stesso pezzo di combinare
una melodia medioevale con ritmiche molto moderne. Infine, i testi popolari
vengono affiancati a poesie d'autore (De Filippo, Saramago, Mazzafoglia):
insomma, una molteplicità di fonti di ispirazione che confluisce
(o almeno ce lo auguriamo) in un linguaggio quanto più possibile
immediato e universale.
- Nella vostra produzione musicale, in quale rapporto percentuale
stanno i brani attinti da repertori tradizionali con quelli di vostra
composizione?
E' difficile fare un rapporto percentuale: molti brani di nostra composizione
hanno citazioni popolari e i brani tradizionali spesso ci portano verso
sonorità originali. Tendiamo a personalizzare molto il nostro
repertorio per cui possiamo dire che un settanta per cento dei brani
che suoniamo sono di nostra composizione.
- Cosa vi ha spinto a suonare?
Per alcuni di noi la musica è stato un linguaggio acquisito fin
dall'infanzia, attraverso l'ambiente familiare: da questo è nato
un tentativo spontaneo e naturale di padroneggiare tale forma di comunicazione
e servirsene in maniera attiva. Per altri è stato piuttosto una
specie di folgorazione, avvenuta non nei primi anni, ma sufficientemente
profonda per indirizzare molte delle successive scelte di vita.
- Perché proprio musica "tradizionale"?
Ognuno di noi proviene da esperienze musicali diverse; il gruppo è
nato e continua a rinascere per la voglia di comunicare e di aggregare.
Molti brani che suoniamo sono pensati per ballare, ma non mancano momenti
introspettivi in cui il corpo si ferma e le emozioni si ampliano. A
nostro parere la musica tradizionale dà l'opportunità
di coinvolgere fortemente il pubblico; la contaminazione di generi e
l'uso di tanti dialetti e sonorità di tutto il mediterraneo permette
agli ascoltatori di ritrovare un parte di sé, della propria storia
musicale e intraprendere un percorso di avvicinamento a ciò che
è diverso. Troviamo in questo un profondo messaggio di pace.
- Qual è il bilancio di questi anni di attività?
Fare bilanci è difficile; il gruppo è maturato ed ha acquistato
una fisionomia più riconoscibile. Il fatto che continuiamo nonostante
le difficoltà significa che comunque il bilancio è positivo.
- Quali (se ci sono state) le esperienze positive?
Le esperienze positive sono tantissime: abbiamo avuto la possibilità
di entrare in contatto con molti musicisti ( da Miriam Makeba, alla
NCCP, gruppi vari, Vinicio Capossela), affrontato le più diverse
situazioni, conosciuto popoli diversi (tourneè in Spagna, Portogallo,
CapoVerde, festival in Francia, Belgio). Ciò che è vitale
per il gruppo, secondo noi, è lo scambio continuo e la condivisione
di esperienze importanti.
- Quali (se ci sono stati) i problemi?
Nonostante le nostre esibizioni live siano sempre molto divertenti e
in grado di coinvolgere tipologie di pubblico anche molto diverse per
età e gusti musicali, può ancora essere un problema organizzare
un concerto, dato che non abbiamo una major alle spalle. Anche il CD
riscuote molti apprezzamenti da parte degli ascoltatori e della critica
musicale, ma lo si trova solo in pochi negozi, perché non abbiamo
una distribuzione, e nei confronti dell'acquisto via internet esiste
ancora una certa diffidenza.
- Come considerate il rapporto tra esibizione "live"
e lavoro di studio?
Sono due momenti strettamente collegati, perché le nostre registrazioni
tendono a riprodurre l'energia che il gruppo trasmette nei concerti,
attraverso una registrazione quanto più possibile "onesta",
ossia senza aggiunta di tracce supplementari o campionamenti. Per questo
i brani devono essere ampiamente rodati ed eseguiti molte volte dal
vivo prima dell'incisione: questo lavoro può richiederre anche
molto tempo e svariate revisioni su ogni brano. Inoltre noi crediamo
che un gruppo debba saper adattare il proprio repertorio alle diverse
esigenze delle varie situazioni live: se in un teatro ad esempio il
pubblico è costretto a sedere, riteniamo preferibile limitare
i pezzi ballabili, ma sappiamo di poter contare su una maggiore attenzione
rispetto ad esempio ad un festival all'aperto, in cui l'ascoltatore
può essere facilmente distratto da elementi esterni al concerto.
Un CD, che è un supporto rigido in senso letterale ma anche figurato,
rimane sempre uguale a sé stesso: per cui deve rappresentare
una sintesi di tutta l'esperienza live del gruppo, e rappresentare momenti
anche molto diversi tra di loro.
- Mediamente, quanti concerti suonate nell'arco di un anno?
Una trentina
- In quali contesti suonate prevalentemente?
Suoniamo molto nelle piazze, all'interno di feste e festival. Abbiamo
suonato molto anche nei teatri scegliendo un repetorio un po' più
pacato.
- Come considerate l'attuale sorta di "revival" delle
musiche della tradizione (popolari, etniche…) che sta interessando
il nostro paese?
Il "REVIVAL" delle musiche della tradizione è, secondo
noi, molto positivo. Si muove ancora su canali alternativi e secondari,
ma può darsi che sia meglio così. Un aspetto che continua
a stupirci e a coinvolgerci è la trasversalità generazionale
e socio-culturale: ai nostri concerti vediamo ballare bambini piccolissimi
e ultraottantenni, turisti giapponesi insieme a giovani maghrebini.
- Credete esista un rapporto fra le musiche "popolari"
suonate oggi e la gente, i territori, il vivere quotidiano?
Noi siamo tutti residenti a Firenze, ma per lo più suoniamo una
musica che affonda le sue radici in culture che non coincidono perfettamente
con la nostre; anche chi tra di noi ha origini meridionali è
passato attraverso esperienze muisicali anche molto distanti dalla musica
dei Bizantina. Per questo motivo, riproporre una tradizione in modo
filologico ci è sempre parso fuori luogo, non perché non
riteniamo artisticamente valida un'operazione di questo tipo, ma perché
crediamo di non essere le persone più adatte a compierla. Per
chi come noi vive nel contesto culturale di una grande città,
l'unica strada percorribile è quindi quella della contaminazione,
nonostante questa venga accolta con una certa diffidenza in alcune zone
del Sud Italia: ma a nostro parere ciò non implica una antagonismo
con l'atteggiamento filologico, ma piuttosto complementarità.
Contaminare significa per noi vivificare, attualizzare, modellare la
tradizione sulla base del proprio sentire, che sarà necessariamente
diverso da quello di un contadino di un secolo fa. Pensiamo alla tradizione
musicale di alcuni paesi latino-americani: vengono usate scale che la
musica spagnola aveva mutuato da quella araba nel medioevo e successivamente
esportato nelle sue colonie. Quelle scale e quelle melodie si fondono
in alcuni casi con elementi ritmici appartenenti alla tradizione nera,
importata dall'Africa, oppure derivanti dalla tradizione andina: quindi
le tradizioni di quattro continenti diversi risultano coagulate in una
cultura musicale nuova, dotata di una sua specifica fisionomia e tuttora
carica di grandissima vitalità.
L'importante è che questa operazione id contaminazione venga
fatta con coscienza, non come semplice giustapposizione di elementi
eterogenei, ma puntando quanto più possibile a una sintesi di
linguaggi diversi.
- Ritenete che queste musiche debbano necessariamente averlo?
Pensiamo si importante mantenere un legame stretto con quelle emozioni,
contraddizioni e difficoltà del vivere quotidiano con cui l'arte
popolare si è sempre confrontata, mettendo in evidenza quanto
molti dei messaggi veicolati dai testi e dalla musica popolare mantengano
intatta la propria attualità.
- È conciliabile, secondo voi, l'"attrazione fatale"
verso il localismo (quale urgenza di riappropriarsi della propria storia,
della cultura, dell'identità), espressa dichiaratamente da certa
proposizione di musiche tradizionali, e le prospettive "globalistiche,
"multiculturali" di quest'epoca che, giustificando la ragion
d'essere della cosiddetta "world music", riducono spesso la
musica null'altro che a un "nonluogo" nel mare magnum del
Mercato?
Discutiamo spesso su questo punto all'interno del gruppo: alcuni di
noi, che hanno un contatto più diretto con la tradizione, avvertono
questa attrazione con maggior forza, mentre altri pensano più
ad una musica di un'etnia immaginaria (non certo un "non luogo").
Dopo lunghe negoziazioni e confronti, a volte anche duri, abbiamo costruito
una cornice all'interno della quale convivono le varie anime che compongono
il gruppo convivono, cercando non solo di influenzarsi, ma anche di
valorizzarsi reciprocamente.
- Secondo voi, ha sempre un senso il lavoro di ricerca, catalogazione
e analisi del patrimonio tradizionale?
Assolutamente sì, anche se la nostra prospettiva, come abbiamo
già sottolineato, è ben diversa: tuttavia non vediamo
nessuna contraddizione tra atteggiamento filologico e contaminazione,
ma complementarità.
- Quali ritenete siano i problemi più pressanti del settore
(discografia, distribuzione, promozione, mass-media…)?
E' abbastanza difficile rispondere a questa domanda, visto che
il mercato è in una fase di evoluzione veramente rapida. La crisi
del mercato discografico legata al diffondersi di tecnologie (masterizzatori,
mp3) ha messo in difficoltà le major, ma la tempo stesso ha ampliato
la gamma delle proposte musicali e moltiplicato i canali. Questo ha
offerto anche a realtà non strettamente connesse con lo star
system di trovare spazi in più e svolgere un'attività
a livello professionistico. Ma è un processo ancora in atto,
noi speriamo che l'ascoltatore comprenda che il valore di un artista
non si misura sulla base dei suoi passaggi in TV o su Sorrisi e Canzoni,
e si abitui a creare un percorso personale all'interno dei mass media
sulla base dei propri gusti, delle proprie inclinazioni e della propria
cultura.
- Che esperienza avete rispetto all'autoproduzione?
L'autoproduzione rappresenta una fase importante nella crescita di un
gruppo, perché gli offre la possibilità di compiere le
proprie scelte senza condizionamenti esterni. Tuttavia, intervengono
spesso altri tipi di condizionamento: un budget ridotto, che costringe
a lavorare in fretta, può talvolta compromettere il risultato
finale. A questo si aggiunge il problema della distribuzione, che malgrado
tutti i cambiamenti più recenti, si muove ancora in larga misura
su canali tradizionali, che escludono per loro stessa natura le realtà
di nicchia.
- Riuscite a vivere con la vostra musica o è di fatto
una seconda attività?
Ovviamente nei nostri interessi la musica dei Bizantina occupa il primo
posto, ma da un punto di vista economico non garantisce continuità:
la necessità di una meggiore stabilità obbliga alcuni
di noi a integrare i proventi dell'attività musicale con altre
occupazioni.
- Quali canali informativi e/o strategie utilizzate per farvi
conoscere?
Il mezzo più immediato e convincente sono i nostri concerti e
il passaparola che avviene dopo. Per altro usiamo molto internet e il
contatto diretto con organizzatori di spettacoli o persone del settore.
- Come considerate il giornalismo specializzato?
Col giornalismo specializzato abbiamo avuto contatti molto proficui,
talvolta nelle definizioni che vengono date della nostra musica troviamo
qualcosa di veramente interessante, e siamo portati a farlo nostro.
Capita anche, d'altronde, che alcuni giornalisti apprezzino aspetti
della nostra musica che noi invece preferiremmo cambiare, oppure che
non diano troppa considerazione a brani che noi invece riteniamo veramente
rappresentativi. D'altronde il rapporto che un musicista ha con la musica
in generale, e con la propria musica in particolare, è comunque
molto diverso da quello di qualunque ascoltatore.
Una ventina di concerti in Toscana e soprattutto la vittoria all'On the Road Festival di Pelago. Per i Bizantina è stata un'estate davvero eccezionale. Il settetto capitanato dalla brava sassofonista fiorentina Susanna Crociani (che raccoglie musicisti di un po' tutte le regioni) si è infatti imposto all'attenzione del pubblico toscano per il suo modo intenso e passionale di proporre la melodia, per l'estro e la dinamicità con cui interpreta brani originali e vecchie canzoni popolari. Un gioioso percorso musicale che parte dalle villanelle e dalle dalle tarantelle per approdare a un po' tutti i ritmi d'oriente. Dal flamenco al jazz suonato seguendo scale e tonalità arabeggianti. «Sicuramente ci ha influenzato La Gatta Cenerentola di De Simone, poi successivamente cantando la musica napoletana e del Sud in generale abbiamo scoperto le nostre radici. Pelago è stata un'esperienza bellissima e, in qualche modo, la vittoria al concorso dedicato ai musicisti di strada ci ha poi permesso di fare tanti concerti questa estate».
Anche se voi non siete proprio dei buskers...
No, anche se in realtà come Bizantina siamo nati nel '93 a Firenze proprio come musicisti di strada. Del gruppo originale siamo rimasti solo in tre e altri musicisti hanno iniziato a collaborare con noi, ma appena possiamo ci piace fare qualche esibizione anche per strada. E un'ottima palestra e poi c'è un contatto incredibile con la gente».
Dove vi esibite di solito?
«Quando non siamo in concerti, sul Ponte Vecchio o agli Uffizi, che sono poi gli unici posti dove a Firenze è ancora possibile suonare per strada senza essere subito allontanati».
Nei vostri concerti si affacciano sempre più brani originali. Avete in mente di pubblicarli in qualche modo?
«Certo. Per ora abbiamo autoprodotto la cassetta Suoni del Mediterraneo in cui abbiamo inserito anche tanti brani folk riarrangiati alla nostra maniera. Introducendo anche strumenti moderni come sassofono e batteria. La nostra musica è un po' l'incontro di tante culture e personalità musicali diverse, un sound spontaneo che tenta di vivere con modernità e allegria anche il sound più tradizionale».